Combi Giampiero

Da Wikisport.
Jump to navigation Jump to search

IMMAGINI

Gianpiero Combi (Torino, 20 dicembre 1902 – Imperia, 13 agosto 1956 ) è stato un calciatore italiano, portiere, campione del mondo e capitano della Nazionale italiana nel 1934. Insieme a Ricardo Zamora e Frantisek Planickà , è ritenuto da molti il miglior portiere dell'anteguerra.

La carriera


Formatosi nel settore giovanile della Juventus, Giampiero Combi legò la sua intera attività sportiva e dirigenziale al club torinese, in cui militò durante dodici anni a cavallo degli anni 1920 e 1930 vincendo cinque campionati di serie A, di cui quattro in maniera consecutiva. Combi formò – assieme ai terzini Virginio Rosetta e Umberto Caligaris, tutti e tre compagni di squadra e Nazionale – quella che è ritenuta dalla stampa specializzatala miglior linea difensiva di tutti i tempi espressa nel calcio italiano nonché una delle migliori nella storia della disciplina; ha inoltre detenuto per novanta anni (1926-2016) il record assoluto d'imbattibilità (934') nella storia della massima serie italiana.
Fu anche direttore delle sezioni di nuoto e hockey sul ghiaccio della Juventus durante gli anni 1940.
Nacque a Torino il 20 dicembre 1902. Dopo la fine della carriera agonistica, divenne un industriale e divenne dirigente in un'azienda. Morì prematuramente nel 1956, all'età di cinquantatré anni, a causa di un infarto sopraggiunto mentre era alla guida della propria auto.

Caratteristiche tecniche


Portiere di grande affidabilità, scarsamente avvezzo a interventi vistosi, Combi aveva nella capacità di piazzamento il suo principale punto di forza.

Club


Inizialmente ebbe contatti con il Torino, ma non fu preso in squadra poiché giudicato troppo debole e privo di una degna struttura atletica. Si rivolse allora ai concittadini della Juventus, che ne intuì la stoffa atletica e lo mandò in campo con la terza squadra. Inizialmente non venne considerato più di tanto dai dirigenti e dall'allenatore, ma in seguito a un malanno del portiere titolare dell'epoca, Emilio Barucco, fu chiamato in prima squadra con cui esordì in serie A il 5 marzo 1922, durante la trasferta sul campo della Pro vercelli terminata con la vittoria dei padroni di casa per 7-1: in seguito ai sette gol subiti, Combi si allenò duramente, invitando i compagni a calciare di potenza contro la sua porta negli allenamenti, nel tentativo di parare.
Nel 1931 subì un pesante infortunio in una gara di campionato, una botta alla testa; dopo diversi giorni di convalescenza, tuttavia, si rimise in sesto e tornò a giocare con continuità. Annunciò il ritiro nel 1934, a corollario di tredici anni in bianconero, dopo aver disputato in totale 351 gare e aver vinto cinque scudetti, quello del 1925-1926e i primi quattro del quinquennio d’oro (1930-1931, 1931-1932, 1932-1933 e 1933-1934). Proprio nel campionato 1925-1926 mantenne la sua porta inviolata per 934 minuti, più di nove partite (dal 25 ottobre 1925, nella gara Juventus-Milan 6-0 della 4ª giornata, al 28 febbraio 1926, nella sfida Parma-Juventus 0-3 della 12ª giornata): per novant'anni rimase questa la maggior inviolabilità mai fatta registrare da un portiere nella storia del massimo campionato italiano di calcio, prima di essere superata dai 974' di un altro estremo difensore bianconero, Gianluigi Buffon.

Nazionale


Con l'Italia esordì il 6 aprile 1924 a Budapest, in un'amichevole contro l'Ungheria (1-7).
Fu un grande protagonista del campionato del mondo del 1934 disputato in Italia, il primo titolo mondiale vinto dagli azzurri. A questo torneo avrebbe dovuto inizialmente prender parte solo come portiere di riserva, ma il destino volle che il titolare designato, Carlo Ceresoli dell'Ambrosiana Inter, durante la preparazione sul campo di Firenze, in una parata un po' azzardata si rompesse un braccio a causa di uno scontro con Pietro Arcari il commissario tecnico Vittorio Pozzo puntò quindi sul trentunenne Combi, ormai a fine carriera per gli standard del tempo, dopo un colloquio di cinque minuti. Il 10 giugno 1934 la Finale contro la Cecoslovacchia fu la sua ultima partita in azzurro: Combi alzò la Coppa Jules Rimet da capitano, lasciando così un ulteriore segno prima del ritiro dalle competizioni calcistiche.
Durante una militanza di dieci anni, giocò 47 gare con la maglia della Nazionale, subendo in totale 65 reti.

Riconoscimenti postumi


Nel 1956 la Juventus intitolò postumamente a Combi il campo d’allenamento della prima squadra e un premio a livello giovanile. Il Campo sportivo Littorio di Merano, realizzato nel 1933 per ospitare la Nazionale italiana in occasione del Mondiale 1934, fu ribattezzato in onore a Combi nel 1957.
Nel 2011 il club torinese gli consegnò postumamente una delle cinquanta stelle nella Walk of fame dello Juventus stadium

Onorificenze


  • Cavaliere della repubblica italiana.
  • Roma, 29 giugno 1955

Gianpiero Combi, il Lord che portava i maglioni


Tutti noi della nazionale italiana ci presentammo intorno al letto di Ceresoli. Meazza, Rosetta, Orsi, io. Il ct Pozzo sperava in silenzio, poi in ospedale arrivò il medico e Pozzo smise di sperare. Toccò il braccio sinistro al portiere dell'Inter e disse che era rotto. L'omero. E' spezzato.
Se lo era fratturato in allenamento per parare un tiro di Pietro Arcari, lanciandosi, del resto si buttava anche quando non serviva. Ceresoli non parlò, lo fece Pozzo, mi guardò e sussurrò in piemontese che sarebbe toccato a me. Mancavano 12 giorni al mondiale del '34 e io, Gianpiero Combi, mi misi a piangere.
Toccò a me la maglia da portiere della nazionale italiana che in Italia giocava il mondiale del '34. Il mondiale fascista. Il mondiale da vincere. A me, che avrei voluto lasciare il calcio già dopo il quinto scudetto con la Juventus. Pozzo mi convinse a rimandare, Dai vieni con noi almeno al Mondiale. Per mettermi in forma mi allenavo dieci ore al giorno. Avevo 15 anni di carriera con la Juventus alle spalle e 10 di nazionale. Ma mi facevo sempre male. Perciò il c.t. mi aveva preferito a Ceresoli, alla fine mi ero lasciato andare. Fu tutta una rincorsa, il mio mondiale. Gli Stati Uniti, le due partite con la Spagna, la semifinale con l'Austria, quando fui tra i migliori in campo. Fino al giorno del titolo, la vittoria ai supplementari sulla Cecoslovacchia, il mio addio. Alzai la Coppa Rimet e lasciai, sono stato il primo portiere capitano di una squadra campione del mondo, 48 anni prima di Zoff. Avevo 32 anni, ci tenevo a chiudere in bellezza. Quarantanove giorni dopo il Mondiale salutai pure la Juventus , 2-1 all'Admira Vienna, poi basta, a casa. Dissi che volevo sfuggire alla sorte di quei vecchi attori che si concedono la serata d'addio.
Mio padre possedeva a Torino una piccola industria di liquori. Mi voleva in ditta già da ragazzino. Io invece avevo fatto sempre di testa mia, con gli amici andavo a giocare a calcio ai giardini di Porta Susa. Mi chiamavano Fusetta, significa fulmine, lampo, petardo. E allora un giorno i miei genitori chiusero il fusetta in collegio. A Pinerolo. Uscii di lì solo per andare a fare un provino col Torino. Non ha stoffa, mi dissero. Che testa dura, io: tentai con la Juventus. Mi presero. All'inizio ero un disastro, nelle uscite non sono mai stato un fenomeno. Mi allenavo nel cortile di casa, c'è un esercizio tuttora molto eseguito che ho inventato io: calciavo la palla contro un muro e la bloccavo con le mani. Quando arrivai in nazionale presi sette gol al debutto, a Budapest contro l'Ungheria, andai in campo all'ultimo istante al posto di De Prà. Avevo un cane danese, le ghette e i capelli lunghi. In campo portavo maglioni a collo alto e pantaloni di fustagno confezionati su misura, imbottiti ai fianchi, con due tasche in cui infilare le mani e le sigarette. Nell'intervallo fumavo. Si sapeva che soffrivo il freddo. Nessuno seppe mai invece il nome del mio sarto.
Combi, Rosetta, Caligaris. Ricordatelo. Noi tre siamo stati una filastrocca popolare prima di Sarti, Burgnich, Facchetti. Dopo la vittoria del '34, Mussolini ci chiamò a palazzo Venezia. Starace venne incontro alla nazionale e disse Bravi ragazzi, grandi, avete onorato eccetera eccetera, ora il duce vi riceverà, vuole farvi un regalo, fatevi venire un'idea su cosa desiderate. La federazione ci aveva già pagato 20.000 lire. Borel aveva in mente di chiedere una licenza scolastica, chi lo sa perché, era una sua fissazione. Io ero per una tessera ferroviaria a vita, viaggiare è molto meglio che passare per una persona colta, e comunque si imparano più cose. Il regalo invece fu una foto del duce con autografo. Che detto fra di noi a casa mia non arrivò mai. Del resto, per otto anni, a me non era neppure mai arrivato lo stipendio, e mai l'avevo chiesto. Ero diventato professionista, diciamo così, solo quando i miei volevano che partissi per l'America, a curare gli affari di famiglia dall'altra parte dell'Oceano. Non fatevi domande sulla nostra distilleria ai tempi del Proibizionismo, in ogni caso non andai. Ne parlai alla dirigenza, mi diedero uno stipendio e mi regalarono una macchina, una 501. Ma pretesi di non essere ricompensato quando della Juventus diventai dirigente, lavorando al fianco di Umberto Agnelli. Del resto, io per la Juventus avevo giocato con tre costole rotte; quella volta, mi pare col Brescia, ogni tanto svenivo dal dolore, l'arbitro interrompeva il gioco e il massaggiatore veniva a tirarmi su con degli impacchi gelati dietro la nuca. Un'altra volta avevo una vertebra incrinata, contro la Cremonese, e me ne rimasi appoggiato al palo ogni volta che la palla era lontana, poi ho giocato con l'itterizia, con i polsi rotti, con le dita fratturate e col setto nasale deviato. In uno scontro con Caligaris mi ruppi un braccio e perdevo sangue da un orecchio, lesione della tromba d'Eustachio. Ero come un burattino che cadeva ogni volta che mi rimettevano in piedi, ma al malocchio non ho creduto mai. Ecco. Avrete capito com'ero fatto, per questo non potevo mica prendere soldi dalla Juve per starmene dietro una scrivania. Io ero Gianpiero Combi.
"Tutte le cause a cui fu chiamato le ha servite con fedeltà ed onore" (dall'orazione funebre di Vittorio Pozzo, 1956).

Fonti


  • Wikipedia
  • Articolo di Alberto Fasano pubblicato su Hurrà Juventus del 1975, consultato sul blog "Il pallone racconta"